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Col San Marco tutti felici. Ciancio di più

lunedì 26 gennaio 2009, di Leandro Perrotta, Massimiliano Nicosia

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Una villa antica, un rustico, sorge su una bellissima collina verde. Una classica villa rurale siciliana, immersa in un paesaggio d’altri tempi, quello di una Sicilia “turistica”, da cartolina: arance, limoni, allegria e lupara in spalla... Eppure quella villa è a Librino, di fronte il viale Moncada con le sue case popolari, “contese” a lungo fra assegnatari impazienti e disperati occupanti. Un far west per la maggioranza dei catanesi, qui nell’estremo confine ovest della città. Oltre quelle case c’è la campagna, quella villa bellissima e poi gli agrumi. Da sempre. Anzi no. La città, quella che guarda a Librino come a un nostalgico film di un improbabile John Wayne a cavallo in mezzo ai palazzoni di 15 piani, ha deciso di uniformare il paesaggio: al posto degli agrumeti stanno costruendo un ospedale. Avranno pensato i catanesi, i concittadini lontani, che fra una sparatoria e l’altra li, nel selvaggio west, potevano avere bisogno di un dottore in tempi rapidi. Chi invece nei palazzoni ci abita non vedeva l’ora di evitarsi un’ora di traffico per raggiungere l’ospedale di via Plebiscito per un qualsiasi tipo di emergenza medica.

Il nuovo ospedale San Marco, con annesso centro di eccellenza ortopedica, sostituirà infatti il vetusto e scomodo da raggiungere ospedale Vittorio Emanuele, con ingresso in via Plebiscito e sito alla spalle del Monastero dei Benedettini in quella che, prima di costruirci l’ospedale, era la “flora nicolina”, il più bel giardino di Catania. Allora come allora, inizi del 1800, c’era un vecchio ospedale da “sostituire”, che si chiamava guardacaso “San Marco”, ed il bisogno di abbattere qualche albero per far spazio alla modernità, ma nessuno si è mai lamentato troppo di un ospedale posto (allora) ai confini della città lungo la principale arteria di comunicazione (la via Plebiscito). Anche oggi, del resto, i vantaggi reali nell’avere un ospedale moderno e in un “punto strategico”, vicino all’aeroporto e non troppo distante dal porto, all’incrocio fra le principali arterie stradali che collegano Catania col resto della Sicilia (autostrada per Palermo, tangenziale, le statali per Gela e Siracusa), sono più dei rimpianti per la perdita di una zona rurale che potremmo definire senza esagerare poi tanto “lussureggiante”. Fra l’altro la costruzione del grande ospedale a Librino potrebbe essere occasione per il lancio commerciale della zona: la mattina i medici vanno a prendere il cappuccino presso un ipotetico “caffè Moncada”, scambiano quattro chiacchere con il panettiere, poi passano all’edicola e se hanno tempo al negozio di abbigliamento sotto il palazzone popolare. I numerosi parenti in attesa vanno a fare un giro al Parco del Viale Moncada, si rilassano e quando è il turno di entrare a visitare il proprio caro hanno un gran bel sorriso che lo rincuora e gli fa dimenticare i suoi mali. Senza stress da posteggio visto che, dei 407 mila metri cubi di nuove costruzioni previste per l’ospedale, circa 40 mila metri sono previsti per i parcheggi. Insomma, il nuovo ospedale renderà tutti felici, sia i catanesi che i coloni del west.

Ma a tutto questo c’è chi ha pensato prima degli altri, ha guardato più lontano ed ora è più felice degli altri: il proprietario della maggioranza degli agrumeti, che dalla conversione da terreno agricolo a terreno edificabile con l’espropriazione a prezzi di mercato, ha fatto un affare milionario. In un recente articolo apparso su Catania Possibile, il giornalista Renato Camarda stima il “guadagno netto” per la conversione da terreno agricolo in ben 190 € a metro quadro: da 10 € a 200 € con una semplice modifica nell’ottobre 2004 al piano regolatore cittadino del 1969. Dei 230 mila metri quadri previsti per l’intero ospedale, ben 80 ettari sono di sua proprietà: un guadagno di circa 150 milioni di euro, secondo questi calcoli, ma non è certamente questo lo scandalo. Lo scandalo è che l’ospedale non sarà realmente al servizio del territorio. A pochi metri dal futuro ospedale San Marco sta infatti nascendo un mega centro commerciale, “Gli Aranci”, uno dei più grandi della Sicilia che, come il nome suggerisce, nascerà su ex terreni agricoli, convertiti sempre con variante al Piano Regolatore del 1969 il 26 febbraio 2005. Altri 240 mila metri quadri, secondo la cifra sopra, che diamo per buona. Ma non è finita qui.

Come i lettori de La Periferica certamente ricorderanno, ad Aprile del 2008, il Consiglio Comunale uscente nell’ultima seduta “utile” ha approvato una modifica al piano regolatore: fra Librino e il Pigno verranno destinati circa un milione di metri quadri per la costruzione di nuovi alloggi. Si tratta di una superficie notevolmente superiore rispetto a quella destinata alla costruzione dell’ospedale. Verranno costruiti in questa zona Case Popolari e cooperative.

Il proprietario di molti di questi terreni convertiti da “agricoli” ad “edificabili” è Mario Ciancio, il più grosso imprenditore catanese ed editore del maggiore quotidiano locale, considerato l’uomo più potente della Sicilia (i suoi interessi spaziano dall’editoria, alle proprietà immobiliari e alle imprese di costruzioni) ha, in un certo senso, riunito in un’unica persona le figure dei cavalieri del lavoro Rendo, Costanzo, Finocchiaro e Graci. L’operazione che ha portato avanti è di una lungimiranza imprenditoriale a dir poco “unica” e, se non fosse che, dai suoi guadagni dipende probabilmente il destino di un quarto di Catania, non gli si potrebbe che dire “bravo”.

La nascità di un mega centro commerciale accanto all’ospedale porterà al naturale strangolamento della già precaria zona commerciale interna a Librino e al Pigno. Se accanto all’ospedale nascono altri palazzoni, probabilmente si assisterà a nuove lotte fra poveri per occupare le case già assegnate e la zona si congestionerà a tal punto che, presto, anche il “San Marco” diverrà insufficiente per le esigenze di Librino. E al Parco del viale Moncada, eternamente incompleto, più che i parenti in attesa, continueremo a vedere il solito via vai di auto che si riforniscono dagli spacciatori. Tutto questo grazie alla lungimiranza imprenditoriale dell’editore de La Sicilia, un giornale che parla del più grande quartiere di Catania come “rione Librino” e che, se invece fosse Comune autonomo, sarebbe il quinto della Sicilia.




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