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Freccia del Sud... storie d’ordinario degrado e di un popolo di picuruna

mercoledì 14 gennaio 2009

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Vedi on line : Gaetano Alessi

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Il treno, il mitico treno. Mezzo di trasporto che ha segnato gli ultimi due secoli. Dai primi magici convogli a vapore, alle saette che sfrecciano in giro per l’Europa. Ma non solo mezzo di trasporto, ma luogo immaginario che ha ispirato poeti, cantanti e registi cinematografici. "Quel treno per Yuma" è stato un film culto. Racconta di grandi avventure tra lo stridio di ruote e lo sbuffare della locomotiva. Ma se volete provare grosso modo l’emozioni dei pionieri americani, non dovete fare tanta strada o abilitare la macchina del tempo.

Basta che vi rechiate ad Agrigento, Stazione Centrale, e che abbiate l’ardire di imbarcarvi sull’883 denominato "Freccia del Sud". Destinazione Milano. Dato che il periodo non consente ferie faremo il viaggio in modo "onirico" attraverso i nostri ricordi.Non più di tre mesi fa..in un paese non troppo lontano appena salito, come benvenuto, m’ accoglie, come un pugno in un occhio, un cumulo di sporcizia. Un capo treno, ormai saturo alle lamentele, capendo, quasi per telepatia il mio pensiero, sconsolato mi comunica: "E’ arrivato con tre ore di ritardo non abbiamo fatto in tempo a pulire". M’ accomodo, su una poltrona dal colore indefinibile (un azzurrino pallido), e inizio una battaglia degna di un racconto greco contro acari e polvere varia. Dopo strenua lotta mi arrendo.Non vorrei che gli insettini chiamassero a rinforzo pulci e quant’altre schifezze. Appena partiti, con rumori degni da film western, immediatamente il treno perde nuovamente velocità.

"Aragona, stazione di Aragona" dice una voce gracchiante, e ancora gente ad assiepare il treno. Da lì in poi un accelerare e frenare degno di una metropolitana. Racalmuto, Canicattì, Caltanissetta Xirbi e Centrale, Enna, Dittaino, queste alcune delle fermate che gli occhi dello scriba, sempre più incredulo, riesce a memorizzare. Mi assopisco, quando, un sussulto maggiore ad un altro, mi risveglia. Fuori è buio, l’orologio indica le 22. Gli occhi scrutano alla ricerca del tabellone che indica la stazione. Sono passate più di cinque ore dalla partenza, il pensiero vola già allo "Stivale"...ad un tratto gli occhi si soffermano su una scritta che campeggia su uno sfondo blu: CATANIA!!!

Cinque ore per percorrere meno di 250 Km. Crollo sulla poltrona, tralasciando la nuova ondata di polvere degna di un’eruzione dell’Etna. Noto, sempre con meno stupore, che il treno va colmandosi. Emigranti, lavoratori fuori sede, militari, extracomunitari, tutti alla ricerca di un posto decente per continuare il viaggio. Un profumo "leggiadro" indica che è ora di cena. Formaggi forti, sarde e vino, il menù da viaggio di gente che finirà la sua corsa ben oltre le Alpi. Il signore al mio fianco mi offre un "bicchiere buono". "Ho la mia acqua" dico. La risposta è degna di un copione teatrale: "si domani ti lavi, ma ora bevi".

Ripartiamo quasi puntuali (un’ora di ritardo), nel mentre a rendere la Freccia più poderosa sono arrivate delle carrozze da Siracusa. Poco prima dell’una di notte arriviamo a Messina. Lì la locomotiva inizia un "trasi e nesci" (come direbbe Camilleri) degno di pellicole hard. "Il treno è troppo lungo, non ci entra tutto nel traghetto" sentenzia un viaggiatore di lungo corso. Morale della favola : un’ora e trenta per imbarcare e sbarcare il treno, mezzora per traghettare (alla faccia del ponte).

L’aria intanto si è riempita dell’odore degli arancini tutto olio venduti sul mitico ferryboat con il livello olfattivo ormai è andato a nascondersi in attesa di tempi migliori.

"Biglietto" grida, in piena oscurità, l’ ultras vestito da capotreno (le luci funzionano ad intermittenza), e poi raccomanda: "E’ notte, e passiamo da Salerno e Napoli, mi raccomando chiudete bene lo scompartimento. non vorrei che...". Ci lascia con un interrogativo da horror. Mi giro e vedo il viaggiatore di lungo corso togliersi la cintura e bloccare la porta. "Ma non c’è la Polfer sul treno..." domando, uno sguardo compassionevole è la esaustiva risposta.

Tre ore di ritardo e la notte passa tra il puzzo di sigarette, fumate senza alcuna paura dei divieti, e un ronzio costante di riscaldamenti che non vogliono funzionare. Nel mentre a Paola (paesino calabro) altra gente è andata a riempire il treno oltre le sue capacità. "E’ sempre così pieno?" domando, "Sai - mi rispondono- siccome Trenitalia ha deciso di tagliare i costi di gestione, ha soppresso due giorni di corse così la gente è costretta ad ammassarsi come bestie".

Si arriva a Roma Tiburtina, sporchi, stanchi, infreddoliti e con ancora 180 minuti di ritardo. La gente comincia a scendere, intorpidita come se fosse reduce da una deportazione di massa. La tratta per Bologna ormai ci coglie nella più totale rassegnazione. I bagni ridotti ad un letamaio e i corridoi, degni di uno stadio dopo la partita, ormai sono divenuti familiari.
"Che ci vuoi fare", dice un capotreno ridendomi in faccia "questa è l’Italia". Allora capisco perché tutto va male. Scendo a Bologna, con la gente che mi guarda come se fossi un clochard.
Il treno finirà la sua "corsa" a Milano dove arriverà puntualmente.... con tre ore di ritardo. Anche questa volta sarà troppo tardi per pulirlo.

Qui finisce il nostro viaggio.

Non credete a quello che ho scritto? Pensate che in un paese civile questo non sia possibile? Credete che un’intera Isola non possa essere trattata come una fossa d’animali? Ritenete che sei milioni di siciliani non si ribellino a questo?

Allora non conoscete la scarsa considerazione della "Politica" italiana e dei siciliani per la Sicilia e i siciliani.

Poi se volete smentirmi..."provate per credere" (ma non credo che molti di voi lo faranno).

Buon viaggio...

Gaetano Alessi




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