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Intecettazioni telefoniche: quando i mafiosi si incontrano al bar

lunedì 9 febbraio 2009

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Nell’intervista pubblicata sulla rivista del Centro Studi Pio La Torre, Giancarlo Caselli fa il punto sui limiti imposti dai progetti di legge in merito alle intercettazioni telefoniche. Se passasse il progetto originario diventerebbe difficile intercettare i mafiosi... a meno che questi non si incontrino al bar o nella pubblica piazza del paese.


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Gian Carlo Caselli

Giancarlo Caselli è stato procuratore capo antimafia a Palermo,
nel posto lasciato da Antonino Caponnetto dopo le
stragi di Capaci e Via D’Amelio. Il giorno del suo arrivo
segnò uno dei colpi decisivi ai corleonesi, con l’arresto di Totò
Riina u curtu, anima nera della mafia stragista. Dopo quell’esperienza,
e dopo una legge contra personam che lo ha escluso dalla
Direzione nazionale antimafia, ha diretto il Dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria. Dal 2001 fa parte di Eurojust, l’organizzazione
contro la criminalità organizzata a livello europeo. Oggi è
il procuratore generale di Torino, dove è ritornato e dove negli Anni
Settanta e Ottanta aveva condotto importanti inchieste contro il
terrorismo. Lo abbiamo intervistato nella veste di magistrato da
trent’anni in prima linea, per parlare di quel luogo comune che sta
diventando la “malagiustizia”.

Dottor Caselli, lei ha avuto l’opportunità di “visitare” dal di
dentro il funzionamento della macchina giudiziaria da Palermo
a Torino, dunque su un orizzonte molto vasto e segnato
da fattori ambientali diversificati. In particolare, il suo sguardo
da procuratore che cosa vede che non va, e con quali responsabilità
dal lato del sistema giudiziario e dal lato della politica?

Guardi, come ho fatto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario,
io voglio partire da una questione decisiva, che è quella delle
intercettazioni. Insisto su questo aspetto perché le proposte che
oggi ruotano attorno alle intercettazioni rischiano di porre ai magistrati
seri impedimenti a procedere. Come ho detto nel mio intervento
qualche giorno fa, circa otto mesi fa il Consiglio dei ministri
approvò un progetto di legge sulle intercettazioni che prevedeva
una drastica riduzione degli ambiti di operatività di questo strumento,
assolutamente irrinunciabile se si vuole che le indagini per
fatti di un qualche rilievo possano ottenere buoni risultati. Per tutta
una serie di reati, anche gravi, le intercettazioni in quel progetto
erano vietate.

Quali reati?

Il sequestro di persona, l’estorsione, la rapina, l’associazione per
delinquere, lo stupro e la violenza sessuale, la bancarotta fraudolenta,
le frodi fiscali, anche il furto in appartamento, la calunnia, lo
sfruttamento della prostituzione.

Ci sono però due problemi: uno, che provoca molto allarme
sociale, dal lato della sicurezza dei cittadini ma anche del diritto
alla riservatezza e delle garanzie democratiche basilari.
L’altro riguarda il fronte delle indagini, su cui - come lei dice - le procure rischiano di fermarsi, perché è messa in forse la
perseguibilità dei reati. Come se ne esce?

Siamo di fronte a due diverse categorie di indagine. Per mafia e
terrorismo si può ancora intercettare, anche se le intercettazioni
ambientali sono a rischio quando si tratti di attivarle in luoghi in cui
non si compiono materialmente attività criminali.

Può spiegarlo meglio?

Le faccio un esempio pratico: se io so che Riina e Provenzano si
incontrano in automobile, o in un bar o al ristorante, siccome i delitti
di mafia non li compiono parlando al bar o al ristorante, io non
posso più intercettare quello che Riina e Provenzano potrebbero
dirsi. Le pare poco?

Mi pare che si apra un grosso problema. Ma, rispetto al
progetto originario, non ci sono stati dei ripensamenti?

Sì. Si era deciso di allargare il numero dei reati intercettabili.
Ma poi il presidente del Consiglio ha ribadito di volerli limitare
a mafia e terrorismo. Io ho pensato che fossero solo schermaglie.
Senonché alcuni giorni fa il governo ha presentato degli
emendamenti che rischiano di essere un siluro sotto la linea di
galleggiamento delle intercettazioni. E a questo proposito voglio
essere chiaro e netto: rivendico di poter fare tutte le osservazioni
che la mia esperienza professionale mi suggerisce fino a
che una proposta non è legge. Perché quando diventa legge il
magistrato, non ci piove, poi la deve applicare lealmente.

Ci spiega questa storia della limitazione ai «gravi indizi di
colpevolezza»?

In base all’emendamento del governo, mentre per i reati di
mafia e terrorismo la formula per le intercettazioni parla di «sufficienti
indizi di reato», per tutti gli altri delitti che vanno - a proposito
di sicurezza - dalla rapina all’omicidio, dal traffico di
droga allo stupro, oppure - a proposito di reati societari o finanziari - dalla corruzione all’aggiotaggio, occorrono invece «gravi
indizi di colpevolezza». Vale a dire che si possono disporre intercettazioni
solo se si sono già accertati i colpevoli. Il che significa
che l’inchiesta dovrà essere arrivata a un punto tale che di
solito comporta la richiesta di misure cautelari o addirittura la
chiusura delle indagini. In altre parole, si sarebbe già arrivati a
un punto di accertamento che rende le intercettazioni o superflue
o del tutto inutili.

Cosa vuol dire?

Siccome l’emendamento dice che l’intercettazione è consentita
solo «quando è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione
delle indagini», vuol dire che l’intercettazione in pratica
non sarà mai data. Escluso il perimetro dei reati di mafia e
terrorismo, bloccando di fatto le intercettazioni in tutti gli altri
casi, si finisce per buttare a mare la sicurezza dei cittadini, la
possibilità stessa di difenderli efficacemente dalle aggressioni
di ogni sorta di delinquenza.

Ritorniamo però al diritto dei cittadini alla riservatezza. Riconosce
che c’è un problema?

Guardi, le ripeto qui quello che ho detto ufficialmente. Certo che
le intercettazioni sono uno strumento particolarmente invasivo.
La loro utilizzabilità deve però, proprio per questo, essere rigorosamente
circoscritta nell’ambito penale ai fini dell’accertamento
della verità processuale. Occorre cioè impedire
l’utilizzazione e la pubblicazione delle intercettazioni riguardanti
fatti non pertinenti all’indagine o relativi a soggetti estranei al
processo. Ma, oltre questi limiti, gli impedimenti all’uso dello
strumento delle intercettazioni equivalgono a preferire – ad
un’Italia delle regole – un’Italia delle impunità.


Pubblicato su A Sud Europa, settimanale del Centro Studi Pio La Torre.


vedi anche editoriale di Roberto Morrione sul provvedimento del Governo in tema di intercettazioni




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