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Operazione Baraonda: duro colpo ai clan Laudani e Morabito-Rapisarda

martedì 14 dicembre 2010, di Massimiliano Nicosia

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Ventuno arresti e la richiesta di 2 ordinanze di custodia cautelare per reati di associazione mafiosa, estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti, traffico di stupefacenti e rapine, con l’aggravante della disponibilità di armi e esplosivi. Sono questi i primi risultati dell’operazione denominata "Baraonda" portata avanti dai Carabinieri di Catania in seguito ai provvedimenti emanati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania.

L’operazione, che scaturisce da un’attività d’indagine promossa e condotta dalla Compagnia Carabinieri di Paternò e coordinata dalla DDA di Catania, colpisce gli appartenenti al clan "Morabito-Rapisarda" di Paternò facente capo alla famiglia "Laudani" intesa “mussi i ficurinia” di Catania.

Tra questi, emergono Morabito Vincenzo, alias “Enzo Lima”, promotore e capo storico dell’omonimo clan, e Rapisarda Salvatore, referente operativo dei Laudani per l’ambito paternese.

L’attività investigativa, che muove i suoi primi passi nel 2004 ed è stata condotta in prevalenza con l’ausilio di attività tecniche intercettative telefoniche e ambientali nonché mediante sistemi di video-sorveglianza e di controllo a distanza, ha consentito ai Carabinieri di individuare, monitorare e perseguire una compagine associativa mafiosa operante a Paternò e nei comuni limitrofi, fortemente radicata sul territorio.

Le indagini hanno evidenziato la forza di intimidazione degli appartenenti al clan e la condizione di assoggettamento e di omertà, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione, volta al sistematico inserimento nel tessuto economico-sociale, allo scopo di mantenere il controllo del territorio e la gestione di diverse attività criminose. Tra le principali attività del clan si evidenza il racket delle estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori - in particolare del settore edile, agrumicolo, degli autotrasporti e dell’abbigliamento - ed il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, in prevalenza cocaina e marijuana, provenienti da canali di approvvigionamento catanesi e aventi come rete di distribuzione le piazze di spaccio dell’hinterland di Catania.

L’organizzazione mafiosa è risultata avere disponibilità di armi e capitali da investire nelle attività illecite al fine di alimentare la cassa dell’organizzazione e - secondo matrice ormai consolidata - contribuire al mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti e provvedere altresì ai corrispondenti oneri legali.

Di particolare interesse, il ruolo rivestito dalle “donne del clan”, oltre a costituire una sorta di collante tra i diversi settori dell’organizzazione e un tramite con i detenuti, hanno avuto parte attiva nella gestione dei fondi del clan, nelle scelte operative relative alle estorsioni e al traffico di stupefacenti.

Le principali attività estorsive hanno avuto come vittime sia figure del mondo imprenditoriale che pubblici esercenti. In particolare, imprenditori edili e titolari di ditte agrumicole erano destinatari di richieste di tangenti sotto la minaccia di ritorsioni specie di natura incendiaria. Il “pizzo” oscillava da alcune centinaia di euro sino a qualche migliaio a seconda delle dimensioni e della capacità contributiva. Si sono addirittura registrati casi di versamenti “spontanei” extra, specie nel periodo natalizio.

Nella rete sono finiti anche diversi negozi di abbigliamento presso i quali venivano effettuati saltuari acquisti "a costo zero" per un valore anche di diverse migliaia di euro.

Rientra nel novero delle estorsioni anche la fornitura di servizi a titolo gratuito da parte di commercianti o professionisti, ad esempio nel caso di riparazione dei mezzi utilizzati dai membri dell’associazione.

Un’altra fonte di introiti per l’organizzazione mafiosa era rappresentata dai cosiddetti “cavalli di ritorno”, per cui automobili e ciclomotori - il cui furto non sempre è stato denunciato alle forze dell’ordine - venivano restituiti ai proprietari dietro pagamento estorsivo.




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