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Piero Mancuso, 12 anni di impegno al centro Iqbal Masih

giovedì 4 ottobre 2007, di Massimiliano Nicosia

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Quindici anni fa il quartiere neppure lo conosceva. Lo incontriamo nella sede del centro mentre è in corso una riunione sui preparativi per i festeggiamenti dei 12 anni di attività: Piero Mancuso, punto di riferimento da 12 anni del centro sociale Iqbal Masih di viale Moncada.

Puoi raccontarci com’è nata l’idea di fare volontariato a Librino?

Ho cominciato a frequentare questo quartiere dopo la laurea facendo servizio civile con l’ARCI nel 1992, allora c’era già a Librino l’Arci ragazzi al quale l’ing. Lo Giudice aveva affidato un locale proprio qui in viale Moncada, all’interno del “palazzo di cemento”. Ho un ricordo molto bello di quell’anno, avevamo ristrutturato il primo piano del palazzo di cemento in maniera bellissima: tutto con i vetri a giorno. Di sera si arrivava qui, in questo buio desolato, e c’era questa macchia di luce.

Non si può dire che passavate inosservati! E che accoglienza avete ricevuto?

L’ingresso nel quartiere non fu affatto facile. La sede nel palazzo di cemento fu vandalizzata l’estate successiva e poi abbandonata. Qui funziona che se non entri in un certo modo sei in difficoltà. Pian piano abbiamo iniziato ad avere dei contatti e le cose sono iniziate a cambiare. Poi è chiaro che ci sono delle persone a cui non piace discutere, problemi che abbiamo anche adesso volendo. Però dopo tutti questi anni siamo diventati una figura, non dico autorevole, ma quantomeno da rispettare.
Dall’ARCI al Centro Iqbal. L’esperienza con l’ARCI si è poi conclusa e con il gruppo originario dell’Iqbal Masih abbiamo deciso di continuare da soli; abbiamo occupato questi locali con alcuni genitori. Erano locali abbandonati che erano stati incendiati. Insieme li abbiamo un po’ risistemati e da allora abbiamo iniziato questo percorso dell’Iqbal Masih come spazio auto-organizzato che non prende finanziamenti pubblici , organizza da sé quello che riesce a fare.

Cos’è che ha contribuito a costruire questo rapporto di fiducia con quella parte del quartiere che è più diffidente?

Guada abbiamo sempre scelto una metodologia: noi parliamo con tutti. Ascoltiamo quello che ci dicono e diciamo quello che pensiamo noi. Però senza pressioni, senza imporre un modo di pensare o un punto di vista. Il rispetto lo si guadagna rispettando anche le cose che tu dall’inizio non capisci. Ci sono alcuni metodi di conduzione familiare che per noi sono assolutamente sbagliati ma non puoi importi perché altrimenti perderesti la relazione.

Quindi per costruire questa relazione è bastato il dialogo?

Secondo me ha contato anche il fatto che noi qui ci siamo sempre stati da 12 anni. Anche d’estate , magari veniamo meno, però durante la settimana qualcuno passa sempre, cioè abbiamo la sensazione che siamo qui a difendere questo posto, a prescindere da tutto, ci teniamo, lo stiamo conservando. A quel punto è difficile allontanarci, perché non siamo più ospiti anche se le persone che lavorano qui al centro prevalentemente non vengono dal quartiere. Non dico che facciamo parte integrante del posto però siamo di Librino anche noi.

Avete messo su i Briganti, una squadra di rugby e perfino una radio. Insomma siete instancabili?

Abbiamo fatto un’associazione sportiva, affidata alla federazione, è nata molto casualmente. Abbiamo comprato i palloni di rugby e un amico che giocava è venuto a raccontare un po’ e sia noi che i ragazzini ci siamo appassionati. Nel giro di un anno abbiamo raccolto una quarantina di ragazzi che sono tesserati che hanno partecipato ai campionati, l’anno scorso abbiamo avuto una sponsorizzazione del CAF della CGIL, quest’anno abbiamo altri due piccoli sponsor che ci permettono di acquistare del materiale sportivo perché i ragazzi da noi non pagano niente Se troviamo 7000 euro andiamo a fare il torneo Topolino a Treviso tra le squadre più forti. Forse la Provincia ci da una mano, l’anno scorso ha dato del materiale. Chiederemo i soldi per il treno per i bambini o almeno una piccola parte. L’idea è anche quella di fare vedere l’Italia ai bambini attraversandola col treno, anche per dare loro una nozione geografica. L’idea della radio invece è quella di avere uno strumento che viaggia ed aprirlo a chi ha delle cose da dire, fare informazione, cultura, intrattenimento; uno strumento polivalente.

Qual è il tuo ricordo più bello in questi 12 anni?

Il ricordo più bello è legato alla squadra di rugby. E’ stato qualche mese fa, ad aprile, abbiamo vinto un torneo con i ragazzi piccolini. Vedere loro in questo momento di entusiasmo sfrenato, noi in realtà peggio di loro perché è la cosa più bella che gli sia capitata. Ho tanti ricordi estremamente belli legati a questo posto, legati nell’aver incontrato persone, non soltanto del quartiere, che sono venute a lavorare nel centro, persone straordinarie; quello che mi piace ricordare di più di questo posto è questo: avere avuto l’occasione di trovarmi nel corso degli anni in un gruppo di lavoro di qualità.

E invece qual è la sconfitta che ti brucia di più?

Ma guarda una sconfitta qui è a volte quella di dover abbandonare certe battaglie; abbandonare nel senso che ci sono dei momenti in cui le risorse sono quelle che sono per cui bisogna mollare un po’ la presa, nel senso che non siamo tutti il teatro, non siamo stati incisivi per cui la cosa non è stata come doveva essere. Non essendo il tuo lavoro ci sono dei momenti in cui le risorse sono minori per cui ti devi ridimensionare. E questo aspetto della gestione politica di alcune battaglie secondo me è un nostro punto debole. Ma io sono convinto che debba essere il quartiere a dare la sensazione di essere attivo. Se il quartiere da questa sensazione anche dall’esterno allora tu partecipi con più sicurezza.

E c’è questa partecipazione nel quartiere?

No, non c’è. Mancano tante cose nel quartiere ed è sempre peggio. Io non vedo in questo momento, non dico la speranza, ma non vedo prospettive reali perché esca qualcosa dal quartiere. Anni e anni di vuoto, di educazione all’incontrario portano a questo. Qui siamo in una parte del viale che non a caso non è illuminato. Qui è impossibile riparare le luci perché qui si spaccia… e ad un certo punto la gente non reagisce più, capisce che funziona così. Subisce senza alzare la voce perché ti schiacciano la testa.

Quanta responsabilità hanno le istituzioni in un quartiere dove tutto va al contrario? Cosa possono fare le istituzioni?

Non ho dubbi sul fatto che la situazione è molto complicata e non si può pensare di intervenire in questo quartiere mantenendo l’idea attuale di politica che è quella della politica del tornaconto. Qui devi pensare di fare delle cose per anni senza aver nessun tipo di rientro, devi ricostruire tutto, devi rivedere l’aspetto sociale, l’aspetto culturale, l’aspetto della manutenzione, andrebbe fatto pezzo per pezzo, piano piano, però con degli obiettivi a lungo termine e non alla tornata elettorale successiva.

E in questi anni non è stato fatto?

Negli ultimi anni qua a Librino secondo me c’è stato un accanimento terapeutico nel quartiere perché quel poco che si poteva costruire non è stato costruito e quel poco che c’era non è stato valorizzato. Le persone spesso sono state ingannate: vedere un cantiere aperto per anni… Le istituzioni hanno trasmesso i peggiori messaggi che potessero lanciare ai cittadini. Noi qui abbiamo un campo dove ci alleniamo e che ancora non è stato assegnato. Abbiamo fatto richiesta all’Assessore allo Sport ma in questo momento chiunque può dire “chistu è u me” una situazione difficile da gestire e molto pericolosa. Inoltre forse si farà un regolamento per il campo comunale e quindi il paradosso potrebbe essere che a noi che facciamo sport con i ragazzini del quartiere ci chiederanno dei soldi: sarebbe come sparare sulle ambulanze.




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