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Mafia-politica, a Palermo un voto costa 50 euro. I boss continuano a stringere patti elettorali

lunedì 18 maggio 2009

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Cinquanta euro: tanto costerebbe, a Palermo, comprare un
voto dalla mafia. Si torna a parlare di rapporti tra le cosche,
attraversate da una profonda crisi economica, e i
politici, pronti a stringere patti elettorali con i boss, nell’ultima indagine
della Dda del capoluogo siciliano che giovedì scorso ha portato
al fermo di 19 presunti uomini d’onore e all’arresto di due
capimafia. Le elezioni finite sotto inchiesta sono le regionali del
2008. Il politico indagato è uno degli assessori della giunta Lombardo:
Antonello Antinoro, esponente dell’Udc con delega ai Beni
Culturali, salito sullo scranno dell’Ars con 28.250 voti. Secondo gli
inquirenti avrebbe dato 3.000 euro a due mafiosi per assicurarsi un
pacchetto di 60 preferenze. I carabinieri gli hanno notificato un avviso
di garanzia contestandogli il reato di voto di scambio. Nel pomeriggio,
a sorpresa, i pm l’hanno convocato per un interrogatorio
Lui ha risposto alle domande dei magistrati, certo che la Procura
«abbia il dovere di fare il proprio lavoro». Di dimettersi, però, non
ha alcuna intenzione. «Continuo a svolgere il mio lavoro come ho
sempre fatto negli ultimi dieci anni - ha detto - Faccio presente che
nell’avviso di garanzia notificatomi vi è scritto che avrei pagato 3
mila euro per 60 voti. Ricordo che nel 2006 i cittadini mi hanno sostenuto
con 30.357 voti e nel 2008 con 28.250. Ogni commento è
pertanto superfluo».
Una posizione, quella del politico, sostenuta dal governatore siciliano
Raffaele Lombardo, fiducioso nella magistratura e, al tempo
stesso, nell’estraneità del suo assessore alle accuse mosse dagli
inquirenti.

Ma Antinoro non è l’unico politico citato nelle oltre 1000 pagine del
provvedimento di fermo disposto dalla Procura. In più parti negli
atti dell’inchiesta compare il nome di un altro esponente dell’Udc,
il parlamentare regionale Nino Dina. Per lui l’accusa è di concorso
in associazione mafiosa. Le cimici, piazzate dagli investigatori nell’auto
di uno degli arrestati, hanno registrato una serie di conversazioni
da cui emergerebbe che il deputato, in cambio dell’appoggio
elettorale delle cosche, avrebbe promesso l’assunzione
di uomini indicati dai clan.

Oltre a tracciare un quadro dei recenti rapporti tra le cosche e
la politica, l’inchiesta dipinge il ritratto di una mafia in crisi. A
corto dei soldi necessari per mantenere le famiglie dei detenuti,
sempre più numerosi dopo i recenti arresti, e priva di un vertice
decisionale. I «picciotti» non se la sentono più di fare le estorsioni.
Temono il carcere. E le famiglie sono costrette a tornare
al vecchio business della droga e a ricorrere al «know-how» di
storici narcotrafficanti come Tanino e Stefano Fidanzati, boss
che, negli anni ’80, gestivano il commercio degli stupefacenti. I
capi, divisi tra la fedeltà ai boss Lo Piccolo e la ricerca di nuove
alleanze, sono sempre più in fibrillazione. Tanto da progettare
l’eliminazione degli avversari. «Tu mi devi fare un favore, devi
trovare acido - dice ad un uomo d’onore il capomafia Carmelo
Militano, non sapendo di essere intercettato - Acido quello forte.
Un fusto grosso». Chiaro riferimento, confermato dal gesto che
mima il taglio della gola, all’intenzione di uccidere e sciogliere
il cadavere dei nemici.

Il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, rivolge un appello
ad associazioni e commercianti:
«Per molto tempo a Palermo il sistema economico si è posto
sotto il dominio della mafia considerando il pizzo come una
tassa inevitabile. Ora è venuto il tempo di una seria ribellione
comune: le associazioni e i commercianti avviino una riflessione
sul punto. È il momento di una rivolta comune: le denunce
cominciano ad esserci, ma sono ancora poche». Più ottimista
il procuratore aggiunto, Antonio Ingroia: «La mafia vive un momento
di grandissima difficoltà finanziaria e organizzativa. Non
siamo più ai tempi in cui le cosche erano forti e lo Stato impotente
». «La mafia - ha aggiunto - va a caccia di denaro ed è in
crisi di accumulazione finanziarie sul territorio. Gli arresti degli
ultimi anni, inoltre, ne hanno decapitato i vertici: non c’è un organismo
di comando unitario, ma più capi che operano in uno
stato di fibrillazione organizzativa senza precedenti, come testimoniano
i progetti di omicidi e le lotte di potere emersi da questa
indagine». Il procuratore si riferisce al piano di eliminazione
progettato dal boss Carmelo Militano ai danni dell’ex capo mandamento
di san Lorenzo, Pino Lo Verde «colpevole» di essersi
schierato contro i capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo,
dopo il loro arresto. Dall’inchiesta che ha evitato il delitto è
emerso anche che cosche possono contare su un grosso quantitativo
di armi - alcune delle quali sono state sequestrate - che
sarebbero state utilizzate per «effettuare una pulizia che
avrebbe tolto di mezzo numerosi avversari».

Pubblicato su A Sud Europa n.ro 19 - rivista del centro studi Pio La Torre




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